Alta Via delle Dolomiti n.1 – Tappa 11

L’Alta Via delle Dolomiti n.1 è un percorso escursionistico lineare che si sviluppa dal Lago di Braies a Case Bortot (BL), 12 tappe (ridotte a 11 per convenienza), oltre 125 km di lunghezza e più di 7.000 m di dislivello. Noi, per comodità, abbiamo invertito il percorso per evitare di bivaccare al Bivacco del Marmol.

TAPPA 11

(Rifugio Biella – Belluno)

Non sappiamo descrivere le emozioni che stiamo provando in questo momento, non distinguiamo nettamente i sintomi della tristezza o della felicità, è tutto così confuso. Il lungo viaggio sta per concludersi, lungo è il passato e breve quello che ci aspetta. Una marea infinita di esperienze, sensazioni, colori, forme, profumi, fatiche, gioie, dolori ed emozioni, un universo turbina al nostro interno e non sappiamo se piangere o ridere. Prepariamo tutta la nostra attrezzatura nello scricchiolio generale di ogni asse di legno, ci dispiace anticipare la sveglia a molti, ma ci attende il tragitto più lungo fra tutti: dal Rifugio Biella a Belluno, ovvio, non a piedi, almeno non nella sua interezza.
Al pianterreno la situazione è drammaticamente statica, non si muove una mosca. Il timore che i rifugisti siano ancora a dormire, causa precedente giornata apocalittica, viene scacciato alla comparsa del primo lavoratore. Gli sorridiamo, lui di rimando. Siamo in anticipo, venti minuti buoni, dobbiamo attendere.
I diciannove minuti e undici secondi che ci separano dall’apertura delle porte vengono impiegati a studiare la cartina appesa alla parete del corridoio d’ingresso, immagino nuove avventure, fantastico sui prossimi viaggi. Ho voglia di ricominciare da capo, non da Belluno, ma dalle prime tappe di altre innumerevoli alte vie alpine, o anche appenniniche, corse, pirenaiche, di tutte quelle inventate dall’uomo. Vorrei perdermi e non tornare più alla realtà lavorativa che divora le giornate facendocele scivolare via dalle dita come fine sabbia impalpabile.
Scatta l’ora X, ma tutto è ancora agli albori. Siamo impazienti di sgattaiolare via, ma tuttora ancorati al pavimento del rifugio. Nel frattempo sono comparsi altri escursionisti e con loro si aprono le porte del salone. Colazione con caffè e pane spalmato di Nutella. Sono indeciso se prendere un uovo sodo o resistergli, non l’ho mangiato al Rifugio Scotoni e lo desidero ardentemente. Quindi, tagliando la testa al toro, godo della ciliegina sulla torta: uovo sodo con una spruzzata di sale. La memoria vola fulmineamente ai pic-nic in montagna, io e i miei genitori, a un valico alpino un giorno o a un alpeggio un altro, con una birra Von Wunster in lattina nel primo e con gli spaghetti al pomodoro tenuti al caldo nel thermos nel secondo, in entrambe i ricordi con un uovo sodo finemente impolverato di sale. Voto 7.
Salutiamo gli amici di tavolo e gli auguriamo il meglio per le loro prossime tappe. Compiaciuti per l’ottimo lavoro svolto, puntiamo al traguardo che ci aspetta a poche ore di distanza: Lago di Braies. Fremiamo per la conquista imminente, siamo febbricitanti, elettrizzati, adrenalinici, ma soprattutto, sopra ogni cosa, siamo soddisfatti.
Il meteo rispecchia le previsioni, nuvoloso. Aggiungere altro è inutile e sarebbe uno spreco di parole. Preferisco pensare a quello che ci aspetta oltre Porta Sora al Forn, la valle de El Forn, un laghetto a breve distanza dal sentiero, la discesa a valle e infine il lago terminale. Al passo, alla quota maggiore di quest’oggi, il mondo va immaginato. Lo schermo grigio del televisore mostra immagini impalpabili, vacue e monotone, nessun colore, forma o movimento, solamente un velo spettrale. Peccato, avremmo preferito ammirare nuove cime e vallate, ma dobbiamo rimandare alla prossima visione.
Scendiamo a passo spedito nella sassaia in cui il sentiero serpeggia, perde quota rapidamente per poi rallentare verso il fondo, qui degrada più docilmente. L’umidità dell’aria attutisce ogni rumore, ci sentiamo ingabbiati in una stanza cinque metri per cinque con spessi muri di ovatta, udiamo esclusivamente i passi che toccano i sassi, sdrucciolano sulla ghiaia e imprimono la terra fradicia. Oltre, potrebbe non esistere alcunché, mai lo sapremo.

Spettrali presenza immerse nelle basse nebbie

Conseguenze: durante tutto il cammino la digestione è andata molto a rilento, pesante, con annesso cerchio alla testa e sensazione di malessere abbinata a quella del rigurgitino finale. Ogni passo una maledizione rivolta alle due uova sode, si perché alla fine della fiera ne ho mangiata un’altra, che hanno appesantito il lavoro ai succhi gastrici. Il sangue, anziché andare ai muscoli e al cervello, è stato richiamato in forze verso lo stomaco, e qui entrano in gioco le conseguenze. Ora, che non si ripeta mai più in futuro, l’errore servirà di lezione. Devo imparare a tenere a bada le voglie culinarie, che strazio…
La via punta verso sinistra in concomitanza con un bivio e rivolge il suo sguardo su un nuovo versante della valle. Mughi e radi larici sono oscure sagome offuscate che sbucano dal nulla a ogni passo, spettri, fantasmi di anime perdute. Nel bosco la nebbia si alza, non riesco a penetrarvi, le piante la respingono scacciandola a quote maggiori. Noi scendiamo, serpeggiamo verso il basso, con noi il sentiero che da qui a poco vira verso destra oltrepassando un ruscelletto.

Lago di Braies

Ora la vista si apre verso il Lago di Braies, vasto, scuro, incastonato nei bassi pendii della valle, crinali scoscesi ammantati da abetaie a perdita d’occhio. Serpeggiamo nuovamente seguendo la via che ben presto ci porta a quote inferiori, a un immenso ghiaione che si estende in ogni direzione. Su di esso sono appollaiati radi boschi e sparuti larici che lottano per la sopravvivenza. Solchi enormi scavano questo paesaggio, passati torrenti alluvionali che hanno scarificato il terreno friabile, voluttuoso, con un passato inciso fra i sassi e la ghiaia e un futuro totalmente incerto, un destino scritto a mano libera dalle intemperie.

Discesa su detriti alluvionali in un paesaggio uggioso

Mi fermo di colpo e Giada quasi si schianta contro il mio zaino, io immobile indico un punto avanti a me, lei da dietro sbuca con la testolina biondina per guardare oltre la mia spalla, un tenero scoiattolo di rosso-cupo vestito prende una pignetta e scappa via nel bosco. Un altro stupendo incontro, la natura è semplicemente adorabile.
Il lago è più vicino e con esso la visione delle prime persone. Sul cammino, in salita, incrociamo lo sguardo, i sorrisi e i saluti di un’allegra ciurma di tedeschi, o austriaci; valla a sapere la differenza linguistica. Oramai mancano poche centinaia di metri, siamo titubanti sullo spettacolo che scopriremo, ma è inevitabile e quindi, a testa bassa, proseguiamo senza indugi.
L’incrocio fra l’Alta Via e l’anello del Lago di Braies è un taglio netto fra le terre selvagge e la città. Non sto parlando di civiltà, bensì di città. Il significato è presto svelato, veniamo travolti da un fiume di persone che si muove lungo la strada sterrata che anela il bacino lacustre. Disorientati, non ci soffermiamo ad ammirare lo specchio d’acqua o a guardare i passanti, puntiamo verso la fine del percorso. Abbiamo fretta perché vogliamo conoscere con certezza l’orario del bus di linea che dovrà accompagnarci a Dobbiaco, poi un altro a Cortina d’Ampezzo, un altro ancora a Calalzo di Cadore e, infine, l’ultimo a Belluno. I tempi saranno stretti e non possiamo permetterci il lusso di saltare manco una coincidenza.
Il flusso di persone segue prevalentemente il senso orario del percorso, ci accodiamo al convoglio, non vorremmo mai andare controcorrente per rimanere imbottigliati chissà dove. Siamo più veloci, tutti vanno a passo da shopping, noi non riusciamo a mantenerlo, troppo stancante. Lungo il cammino che ci separa dalla parola fine, ci rendiamo conto che ci sono centinaia, anzi, migliaia di persone lungo tutte le sponde. Appuriamo che il Lago di Braies è famoso per la serie televisiva “A un passo dal cielo”, ma qui stiamo rasentando la follia. Sono tutti in marcia in una processione incessante, uniforme, pressata, di gentaglia di ogni genere e tipo che segue le pecore davanti a lei e viene a sua volta tallonata da un altrettanto nutrito gregge di belanti ovini. È talmente assurdo che non riesco a capacitarmi dell’ingegno umano nell’essere ridicolo, stupido e idiota. Il Lago di Braies è molto bello, nulla da toglierli, il panorama attorno a esso lo è forse di più, ma tutto questo non giustifica assolutamente tale perversione turistica. Giovani e meno giovani  intendi a scattarsi selfie nei punti e nelle posture più assurde con alle spalle uno minuto spicchio della vasta massa d’acqua, ma pensare a immortalare il lago anziché la vostra ignoranza non è più bello? Macché, anzi, si sbizzarriscono come a un qualsiasi parco divertimenti. Vabbè, continuiamo a camminare.

Lago di Braies

Giungiamo, finalmente, alla parola fine. Il parcheggio gremito di auto, bus turistici e migliaia di turisti stessi, è la peggiore conclusione che potessimo immaginare, anche nel peggiore degli incubi. Ora capisco perché è meglio iniziare l’Alta Via delle Dolomiti da qui e non come abbiamo fatto noi: scappi da tutto questo per allontanarti, non il contrario in cui ti ci tuffi appieno e caschi nella trappola che ti segna per tutta la vita. Abbiamo due ore a disposizione per poter prendere la corsa per Dobbiaco, quindi, pazienza alla mano, decidiamo di circumnavigare il lago per intero e ammirarne le famose beltà.

Lago di Braies

Cielo grigio, cime mozzate e colori smorti, direi che l’attuale condizione meteo ammazza la bellezza di questo posto. La situazione è questa, ci accontentiamo. La mia vena artistica è mogia, triste e ingabbiata, pensa solamente a scappare lontano da tutto. Mi limito a seguire Giada come uno zombie, ammiro l’ambiente e i dettagli, ma il mio cervello non riesce a percepirli. Anche lei è triste, ma almeno non si fa influenzare da questi trogloditi come il polemico che la pedina.

Effetto seta delle acque del Lago di Braies nel punto in cui alcuni esili tronchi giacciono sulla sponda

Breve pausa sulla sponda e poi ci muoviamo sugli stessi passi dell’arrivo per concludere definitivamente questo giro del lago in modalità “supplizio”. Alla fermata del bus siamo in pochi, tutti gli altri sono diretti verso la meta dei loro sogni artistici, fotografici e probabilmente erotici. Ben altro mi eccita che un selfie sulla barchetta a remi, sul pontile o sulla spiaggetta di turno.
Il nostro salvatore compare con un paio di minuti di ritardo, si scusa imprecando contro il traffico. L’autista racconta a un nostro vicino di seduta il motivo di tutto questo trambusto turistico, ovvero che l’inizio della mercificazione del luogo l’ha data la serie tv, ma lo slancio finale è stato causato dalla mania da selfie ad hoc pubblicati sui vari social network, questi hanno imbrigliato un tranquillo posto che ora non lo è più. Tutti nella zona si lamentano della situazione, ma purtroppo sono all’interno di un vortice senza via di scampo. Concordiamo, oramai non si torna più indietro, nessun lo può fare. C’è solo la macabra speranza che diventi famoso un altro posto e le masse ignoranti si sposteranno verso quello, lasciando in pace il Lago di Braies, la sua valle non più incontaminata, le sue genti e un turismo forse maggiormente più consapevole e rispettoso. D’altro canto, l’altro posto, riceverà lo stesso trattamento di non riguardo. Ah, mi rendo conto solo ora di un particolare, non sarà per caso che fra voi lettori ci sia qualcuno cascato nella trappola? Se così fosse, non me ne scuso del giudizio generalista, polemico e aspro, purtroppo per voi è una pura, dura e semplice realtà dei fatti. A voi la scelta su cosa essere in futuro, io la mia provocazione l’ho lanciata e qualche “vaffa” sicuramente me lo prendo, ma forse non me lo merito.
Torniamo alla realtà dei fatti dopo aver sproloquiato a destra e a manca senza colpo ferire. Siamo sul pullman di linea con lo sguardo perso sui paesaggi che mutano rapidamente a ogni chilometro. Le valli verdeggianti con rade abitazioni e alberghi lasciano il posto ad aree più urbanizzate, con meno prati da sfalcio e più capannoni, e numerose abitazioni con sgargianti fioriture alle finestre o nelle aiuole.
Dobbiaco, lo dice un cartello con scritta a caratteri cubitali e non v’è motivo di dubitarlo. Il bus ci molla in centro e ci sentiamo completamente spaesati in un ambiente lontano dall’oramai quotidianità. Nessuna palina indica la via da prendere, nessun segnalino di bianco e rosso dipinto identifica il sentiero, nessun cartello in legno o acciaio descrive la località. Siamo soli in mezzo a tante persone sconosciute. Google Maps alla mano e di botto ci ritroviamo a essere nuovamente cittadini, non più abitanti nomadi di terre selvagge. Puntiamo a un supermercato, due panini, speck affettato, un trancio di focaccia e un altro di pizza.
Ci fermiamo in una piazza del centro, una panchina libera e adagiamo le pudenga. Giada non mangia, soffre enormemente quando nei lunghi viaggi impersonifica il ruolo della passeggera, in particolare se ci sono le curve, quindi preferisce rimanere a digiuno. Io ho una fame da lupo e divoro il panino imbottito alla bell’e meglio.
Alle prime gocce d’acqua ci spostiamo sotto un portico di un negozio, noi e un paio di altre persone. Tutti gli altri scappano in bar, in negozi o in albergo. Attendiamo, manca mezz’ora per la ripartenza, destinazione Cortina d’Ampezzo. In un attimo di tregua corriamo per raggiungere il primo possibile la pensilina delle linee urbane, lì ricomincia a scrosciare, una vagonata d’acqua con più vigore della precedente.
Da ora in avanti, almeno fino a Belluno, il mio amore mi odierà. Ne prendo atto e cercherò di riconquistarmelo nel prossimo futuro. Io, invece, continuo la scrittura e a voi le evoluzioni.
Prendiamo posizione sul secondo mezzo e torniamo nel nostro torpore cerebrale, un misto di stanchezza e di vuoto interiore. Alle prime curve serro la mano della mia compagna nella mia, percepisco la sua tensione, lo sguardo fisso verso il muso del pullman. Conoscendo la pollastra, ho seriamente paura di cosa può accadere da un momento all’altro, quindi inizio a preparare fazzoletti e il sacchetto della spesa, sperando non sia bucato; per ovviare al problema lo annodo sul fondo, ne diminuisce la volumetria interna, ma ne aumenta la sicurezza. Imposto il navigatore sul mio cellulare per capire esattamente a che punto siamo del percorso, manca poco, 10 minuti, forse più. La smorfia cadaverica è inequivocabile, rinuncia categoricamente alla mia proposta di fermare il viaggio energico e sportiveggiante dell’autista. Il cartello indicante la nuova cittadina ci fa ben sperare, ma il conto alla rovescia è imminente. Ci fermiamo, scendiamo per primi e, manco il tempo di dire “siamo arrivati”, che e Giada svuota lo stomaco vuoto da ore nel sacchetto.
Qualche minuti di assestamento e riprendiamo i nostri averi per fare una passeggiata in centro. Nella via principale mi sento un estraneo, siamo decisamente non alla moda. Quello che avevamo visto il giorno precedente nei pressi del Rifugio Fanes, ecco, qui è onnipresente, anzi, peggio. Gironzoliamo senza meta, non sappiamo come perdere il tempo che ci resta prima della prossima corsa rocambolesca fra le montagne dolomitiche. Un muretto è la risposta, ci adagiamo per perderci nei nostri pensieri mentre gli occhi osservano la variopinta fauna locale.
Altro giro, altra corsa. Il terzo bus di linea ci porterà in un’altra cittadina, ovvero Calalzo di Cadore. Non riusciamo a conquistare la prima fila, ci accontentiamo della terza. Sono seriamente preoccupato della replica, preparo un altro sacchetto. L’autista è in ritardo sulla tabella di marcia: causa signora che non sapeva dove scendere, causa signora che ha bloccato il mezzo a una non-fermata, causa ragazza che sale senza il biglietto e offre una bevuta gratis nel pub in cui lavora, causa signora che bellamente si intrufola senza mostrare tessera o biglietto della corsa e, a ogni imprevisto, volano ramanzine da parte dell’autista. Ora, immaginiamo di dover rispettare l’orario e di dover restare nei limiti di velocità, come vi comportereste in curva? La risposta la conosciamo, le conseguenze pure. Importuno un signore seduto nella seconda fila, conosce l’autista, e gli chiedo se può comunicarglielo per rallentare, rallenta. Mormorio generale, alcuni nelle retrovie imprecano altri in prima fila si mobilitano per farci sedere davanti. Mi spreco in mille ringraziamenti a ogni buona anima pia, Giada è un cencio. Al termine di tutto il tragitto arriviamo a destinazione in ritardo di quindici minuti, una tragedia per i rimasti fino al capolinea, questi avevano una coincidenza con il treno per Venezia. In presenza di altri tre autisti di altrettante linee, imprecano verso il nostro dandogli la colpa dell’accaduto e menzionando come causa il qui presente fantasmino. Ora, immaginiamo fosse vero, ma si dovevano ridurre all’ultima corsa utile per prendere la coincidenza che era esiguamente di soli cinque minuti? Prima di questa potevano coglierne almeno due o tre, da quando siamo atterrati a Cortina d’Ampezzo solo noi ne avevamo tre a disposizione, e noi giungiamo addirittura da un rifugio in alta montagna. Bestemmiando come solo loro potevano fare, si allontanano verso i binari invocando tutti i santi.
Attendiamo, manca una decina di minuti per l’ultimo giro, finalmente. Sul quarto siamo soli, noi due e due autisti. Capiamo subito il motivo della loro accoppiata, la recluta e l’istruttore. Prima fila per lei e il suo zaino, seconda per me e il mio. Si parte. Il viaggio è dolce, gentile, delicato e attento, siamo fortunati. Nel frattempo salgono e scendono altre persone, ma sono invisibili. Sono più interessato alla mia bella funerea che agli altri passeggeri.
Salutiamo le vallate strette per entrare in quella più ampia dove Belluno ci attende. Al capolinea salutiamo i due autisti partenopei, simpaticissimi e altrettanto gentili e cordiali. Dobbiamo capire dove siamo esattamente, quindi ci spostiamo verso degli alti alberi che segnano il confine fra il parcheggio e il marciapiede. Ho uno zaino sulla schiena e uno sul ventre, lei col suo sacchettino alla mano. Mollo tutto e lei replica, mi dispiace da morire per questa sua sofferenza, ma purtroppo non ho modo di aiutarla. Google Maps è la salvezza, in meno di un minuto trovo la strada di casa.
È finita, non la mia relazione con lei, almeno spero non a seguito della lettura di queste innumerevoli righe in cui descrivo sommariamente le sue vicende (i particolari li lascio alla vostra immaginazione), bensì è finita l’estenuante giornata. Siamo giunti infine all’alloggio finale: soggiorneremo due notti presso l’Albergo Cappello e Cadore.
In camera gli zaini esplodono sia di contenuto che di fragranze differentemente aromatiche. A seguire, in ordine serrato: doccia calda, pizza e focaccia sul letto, dormita fino a un orario indefinito. Voto 4, alla cena.


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