Alta Via delle Dolomiti n.1 – Tappa 5

L’Alta Via delle Dolomiti n.1 è un percorso escursionistico lineare che si sviluppa dal Lago di Braies a Case Bortot (BL), 12 tappe (ridotte a 11 per convenienza), oltre 125 km di lunghezza e più di 7.000 m di dislivello. Noi, per comodità, abbiamo invertito il percorso per evitare di bivaccare al Bivacco del Marmol.

TAPPA 5

(Rifugio Vazzoler – Rifugio Coldai)

La vallata è completamente immersa nelle ombre proiettate dalla corona montuosa, il cielo sopra le cime seghettate è limpido, completamente terso, di un azzurro tenue sfumato di rosa e di verde. L’alba illumina la volta celeste, ma il paesaggio che ci circonda è ancora nella fase letargica della notte, coi suoi colori bui, spenti, desaturati o tendenti al blu. Il terreno a costellato da pozzanghere e la grondaia gocciola acqua, il temporale di questa notte ha scaricato parecchia pioggia. L’aria è fresca e decisamente umida, densa, palpabile, quasi tangibile. Sul ballatoio sono rimasti alcuni indumenti di qualche escursionista poco lungimirante; noi abbiamo ritirato tutto prima di tuffarci nel sonno. Quel qualcuno ha avuto la malaugurata sorte di dimenticarsi l’abbigliamento ad asciugare, ora, al contrario, è zuppo dopo la tempesta notturna. I nostri abiti sono tutti asciutti, il microclima della nostra microcamera ha asciugato anche le ultime umidità rimaste nei tessuti.
Solita colazione: caffè, pane con pseudo-Nutella e un bonus di biscotti confezionati. In rifugio non si pretende di più e per “solita” colazione intendo un termite atto a non sminuirla, ma semplicemente per paragonarla orizzontalmente alle altre. Voto 6.
Zaini in spalla, usciamo nell’aria umida e frizzante del mattino. Fra gli abeti, scuri in volto, ci aspetta la strada sterrata, grigia sul dorso. Parte dolce, con leggere pendenze e solo in alcuni tratti tira rapidamente in salita per smorzarsi subito dopo. Cento metri di ascesa e giungiamo a Casera Favretti (1.827 m s.l.m.). Un tratto pianeggiante, leggermente ascendente poi, fra abeti, mughi, ginepri, mirtilli e larici, ci porta infine a un cancello oltre il quale si estende un prato che sale fino alla Sella di Pelsa. Da qui in avanti solo erba e sassi, massi alcuni dei quali proprio immensi, e poi ancora erba e sassi, larici e abeti che mimano sagome burbere e solitarie in una valletta immersa nel silenzio. Centro metri di ascesa e giungiamo a Sella di Pelsa (1.954 m s.l.m.).

Il paesaggio lungo il sentiero per Sella di Pelsa

Oltre il passo, il sentiero scende gradualmente fra i pascoli inframezzati dai numerosi mughi e da un ruscelletto che serpeggia nella piana. Un gruppetto di mucche, sparpagliate davanti al buffet della colazione, osserva il nostro passaggio col solito sguardo vacuo, altre sono più interessate a brucarne l’erba imperlata di rugiada. Poco oltre, dopo qualche centinaio di metri, un dosso si erge dinnanzi al nostro sguardo, lì la via sale obliquamente tagliando fra larici e abeti. Un secondo gruppetto di vacche, sparpagliate per il pratone, contempla ogni filo d’erba con minuziosa attenzione. Al contrario, un vitello ci guarda con occhi grandi come susine, la testa segue i nostri movimenti mentre le sue zampette secche e asciutte restano piantate a terra con antiche radici di un millenario larice. Dolce, tenero e con un musetto proprio simpatico; ma lo sguardo vacuo è onnipresente.
Superiamo il dosso senza grandi fatiche, seppure il sentiero è irto e il suo tracciato friabile. Il paesaggio diviene più ricco di vegetazione, distese di mughi, abeti e larici che svettano oltre le basse piante, rododendri e ginepri al capezzale dei mughi, erbe e fiori tutt’attorno, ma nessuna orchidea spontanea. Dal Rifugio Vazzoler fino a questo punto non ne ho vista una, sarà la zona o il periodo, ma di orchidee manco l’ombra. La via sale leggermente e discende altrettanto, poi risale e tiene la quota, poi risale e risale ancora. Si dimostra un tratto abbastanza tranquillo, tutt’altro che faticoso.
A un bivio decidiamo di prendere la via più difficile e forse maggiormente panoramica, quindi lasciamo l’Alta Via delle Dolomiti per la Direttissima al Rifugio Attilio Tissi. Oggi sarà una tappa breve, di defaticamento da ieri, quindi possiamo permetterci una variazione all’itinerario; fra l’altro il temporale pomeridiano è ben lontano. Il sentiero sale dolcemente, poi man mano che prende quota si inerpica sempre di più fino al tratto finale ove sbuca dal bosco. Oltre, una prateria multicolore di fiori e di orchidee, finalmente!

Dactylorhiza maculata ssp. fuchsii, orchidea spontanea
Nigritella rhellicani, orchidea spontanea
Sentieri e panorami nei pressi del Rifugio Attilio Tissi, in lontananza la valle appena percorsa

Qui la traccia sale ripida, diretta, senza se e senza ma, guadagna quota fino a raggiungere il Rifugio Attilio Tissi (2.250 m s.l.m.) e poi spiana fino a toccarlo.
Fermiamo la nostra marcia a lato del rifugio in un punto riparato dal vento. Qui, quasi in vetta al Col Rean (2.281 m s.l.m.), soffia un vento teso, freddino, quasi fresco, piccante in certe folate, meno in altre, che ci fa rabbrividire la pelle imperlata di sudore. Protetti dalla massiccia costruzione, togliamo gli zaini per far asciugare la schiena e mangiucchiare una mela. Ci fanno compagnia un gruppetto di giovani rifugiste che sgambettano dentro e fuori il rifugio come operose formichine operaie: una stende i panni al vento, due puliscono una stanza, una o due un’altra, e altri movimenti si scorgono attraverso le trasparenze di alcune finestre. Il sole sbuca dalle nubi stiracchiate dal vento, tese come corde di violino. È caldo e il suo tepore scioglie i nostri muscoli. Salutiamo le donzelle affaccendate e puntiamo alla vetta non molto distante.
Accanto alla croce osserviamo il panorama sottostante: la Val Cordevole, il paese di Alleghe, il Lago di Alleghe, il Torrente Cordevole e il suo letto alluvionale, paesetti e paesini, alpeggi e pascoli alpini, montagne e cime, boschi e… devastazione totale. Quasi la totalità dei pendii forestali sono stati pettinati dal vento della Tempesta Vaia, migliaia, forse milioni, di abeti, pini, larici e altre piante, sono state tutte rase al suolo, realmente pettinate. Si scorgono i singoli tronchi sdraiati a terra, tutti nella stessa direzione o in quella che ha preso con le raffiche di vento. Ci sono zone completamente spoglie, altre ancora boscose, forse riparate, ma quasi la totalità delle foreste non esiste più. Lo spettacolo è agghiacciante, spettrale, lascia senza fiato. Minuti di silenzio sono spazzati via dal vento freddo, le parole per descrivere questo scempio e le nostre emozioni non riescono manco a uscire dalle labbra.

I boschi della Val Cordevole pettinati dalla Tempesta Vaia

Scendiamo. Torniamo verso il sentiero.
La profusione di fiori non ha più la sua bellezza variopinta, il suo profumo variegato, ora tutto mi sembra grigio e odora di niente. Un gruppetto di vacche si crogiola su un piccolo pianoro erboso, bruca, scodinzola, intona melodie sgraziate coi campanacci, si guarda attorno con le orecchie solleticate dal vento, beatamente spensierate si vivono la faticosa vita di alpeggio. Al bivio, riprendiamo il sentiero lasciato chissà dove più indietro e su un vicino masso spilucchiamo un pasto veloce: panino con la marmellata.
Durante la breve discesa all’intersezione tra i due sentieri abbiamo osservato attentamente la vallata e ora conosciamo in anteprima quello che ci aspetta: pianoro, discesa, pianoro e salita fino al passo; tutto sommato non sembra niente di difficoltoso. E così sarà, percorriamo il pianoro sommitale, scendiamo il gradone e raggiungiamo quello inferiore, qui un breve tratto lineare e poi uno strappetto su ghiaione fino a raggiungere la Forcella di Col Negro (2.203 m s.l.m.). La valle è spoglia, caratterizzata da sassi e massi, prati sparsi a macchia di leopardo, numerosi fiori multicolori e un venticello più mite rispetto alle ore precedenti.

Pendii rocciosi e franosi del Civetta in Val Civetta

Mentre conquistiamo la quota incontriamo un nutrito gruppetto di escursionisti, tedeschi. In cima alla sella una famiglia italiana: un ragazzino, il primo ad arrivare scattante ed energico come una gazzella, i genitori distanziati e affaticati, e infine la sorella, a fare da scopa a babbo e mamma con la sua stazza da boulderista.

Lago Coldai, i suoi colori sono completamente spenti dal cinereo cielo

Nella vallecola successiva il re del paesaggio è il Lago Coldai, in secondo piano la Forcella Coldai e chiudono a cerchio Cima Ovest di Coldai e Torre di Coldai. Riprendiamo il cammino. Il primo tratto è fra i sassi, poi arriva l’erba, e infine i prati solcati dalla ragnatela di sentieri. Qui la ricchezza floreale è stupenda, fiori di ogni colore, forma e profumo. Le api, le mosche, le farfalle e i moscerini si muovono freneticamente da un fiore all’altro, si fermano e ripartono, entrano ed escono, impazziti da tutta questa opulenza gastronomica. Mi tuffo anch’io fra le screziature rosa, gialle, rosse, azzurre, alla ricerca delle orchidee. Inebrio anima e corpo con le loro sfumature di miele, di vaniglia, di frutta esotica.

Gymnadenia odoratissima, orchidea spontanea
Gymnadenia odoratissima, orchidea spontanea

Versetti striduli e graffianti echeggiano fra le pareti montuose, anticipano la visione di numerose macchioline nere in volo che piroettano nell’etere, volteggiano, planano e poi si appollaiano su qualche masso a osservare; i gracchi alpini sono proprio simpatici.
Aggiriamo il Lago Coldai sulla sponda occidentale, saliamo il dolce pendio e ci fermiamo a osservare la macchia d’acqua su un dosso che la sovrasta. Le nubi addensate sulla Torre di Coldai e Torre di Alleghe nascondono il sole senza lasciar trapelare alcun raggio. Questo implica che non vedremo la bellezza delle acque turchesi, le sfumature verdi, i blu del punto più profondo. Salutiamo il lago con un arrivederci, magari la prossima volta saremo più fortunati; ovviamente porterò il drone.
Altra discesa, decisamente breve. Il Rifugio Adolfo Sonino Al Coldai (2.132 m s.l.m.) ci attende dietro la curva con la sua terrazza sulla Val di Zoldo. Il Pelmo, a qualche chilometro di distanza in linea d’aria, ci osserva o ci rivolge la schiena, resta lì immobile nella sua statuaria posizione mentre le nuvole passeggere gli accarezzano la dura pellaccia grigiastra. Assaporiamo il paesaggio, l’aria fredda solletica la pelle, la stanchezza scivola via nel vento e lo stomaco brontola. Rimandiamo l’ammirazione per il paesaggio di un paio d’orette, prima tocca alla doccia calda per scacciare il freddo e sciogliere i muscoli, poi al pranzo, il secondo.
Saliamo in camera, da due, tutta in legno, letti a castello, e finestra sul mondo vista Val di Zoldo. Il Pelmo, ora quasi totalmente immerso nelle alte nebbie. Sorridiamo alla bellezza di questa semplicità unica, meritata e sudata. Doccia, calda ovviamente perché il nostro lerciume quotidiano deve essere scrostato adeguatamente; un pizzico di lusso è necessario anche in questi contesti selvaggi ed essenziali. Giada si prepara per il bagnetto, inseriamo il gettone, tutto tace, lei sbuffa, scendo per chiedere aiuto, risalgo accompagnato dalla rifugista, smonta la scatola mangia-monete e ci guarda perplessa, noi con lei, inseriamo un secondo gettone e l’acqua calda arriva per magia. Mi preparo per il bagnetto, inseriamo un altro gettone, tutto tace, non è possibile, no no, sbuffo, Giada scende per chiedere aiuto, la rifugista smonta nuovamente la scatola magica e ci guarda perplessa, tutto si ripete, inseriamo l’ennesimo gettone e la magia si ripete. Lavati e stirati, scendiamo in sala da pranzo. Troviamo numerosi tavoli liberi, scegliamo quello vicino alla finestra, abbiamo ancora fame di paesaggio, ma ora è meglio sfamare la bestia. Gulaschsuppe con Weizenbier per lo scrittore e bistecca ai ferri con Coca Cola per la musa ispiratrice. Non che io sia un esperto di gulash, ma è evaporato nel piatto, proprio buono; sono rinato a nuova vita. Ora ci attende un lunghissimo pomeriggio, scrittura dei nostri racconti, partite a carte, passeggiata esterna per respirare il panorama, intrufolarci in discussioni altrui per carpire i segreti della prossima tappa e, per passare altro tempo, ripetere tutto più e più volte fino alla noia. Così, lentamente, siamo a sera e la cena è in arrivo: canederli in brodo con una vagonata di formaggio grattugiato per me, canederli col ragù per lei, braciola di maiale con le patate fritte e insalata mista, e yogurt coi mirtilli per entrambe, ovviamente una porzione a testa, sia mai una in due. Voto 7.


Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...