Alta Via del Granito – Tappa 1

L’Alta Via del Granito è un percorso ad anello di tre giorni che si sviluppa nelle valli e lungo i pendii montuosi del Massiccio di Cima d’Asta.
Il percorso segue antichi sentieri ed ex strade militari risalenti alla Grande Guerra che portano alla scoperta di stupendi paesaggi naturali e testimonianze della Prima Guerra Mondiale.
E’ percorribile sia in senso orario che antiorario, con possibili varianti per impreziosire la scoperta di queste montagne granitiche. Le nostre scelte: senso orario per comodità, ascesa a Cima D’asta per sfizio, rientro alternativo per scoprire nuovi paesaggi.

TAPPA 1

(Malga Sorgazza – Rifugio Caldenave)

Le ferie, quel periodo di agognato riposo dalla quotidiana vita lavorativa, sono il miraggio che si profila all’orizzonte ogni qual volta il cervello richiede di staccare completamente la spina. In genere, il classico weekend aiuta a superare le fatiche, ma non sempre le batterie si ricaricano completamente; qui entrano in gioco le classiche due settimane di fermo biologico. Quest’anno, in particolare, ho estremamente bisogno di staccare la spina dal lavoro.
Non sempre i piani riescono col buco, come le ciambelle si intende. Può capitare a volte che il futuro non permetta alla mente di fantasticare in viaggi importanti, bensì ne limita la vista, offusca i pensieri o estingue la voglia della scoperta. Non è successo niente di catastrofico, tutto fila quasi liscio (il lavoro) e senza intoppi, tranne uno: il COVID-19. Questa brutta bestia, invisibile e intangibile, ha modificato radicalmente la vita quotidiana, il presente e il futuro. Nella semplicità della questione, senza entrare in pensieri profondi di sorta, ha sradicato l’entusiasmo dell’avventura sostituendolo con un punto interrogativo, grande e grosso. Cosa fare, una domanda senza punteggiatura. L’unica certezza sono i quindici giorni a disposizione nel mezzo di Agosto, tutto il resto è nebbia, e non siamo in Inverno.
La Primavera è scivolata fra le dita come impalpabile zucchero a velo e con essa sono andate perdute le migliori giornate dell’anno per godersi la natura, il risveglio, i nuovi colori e profumi, il disgelo, l’aria frizzantina e carica di energia, le orchidee spontanee tutte da scoprire. E, infine, è già Estate, fine Giugno per l’esattezza.
Il tempo è volato e quello rimasto a separarci dalle ferie corre frenetico sull’autostrada della vita. Cosa fare con l’incertezza del virus, dove andare, dove dormire, come muoversi, come potersi godere il meritato stacco dalla quotidianità; innumerevoli domande senza punteggiatura. Vivremo alla giornata, una camminata in montagna ogni giorno, una meta nuova al risveglio e un giaciglio unico per tutte le notti. Probabilmente questa sarà la scelta migliore, e meno rischiosa.
Nei cassetti dei sogni, miei e di Giada, ci sono tanti desideri, tante mete, progetti, sogni. Fra questi nasce l’idea di modificare il piano senza programma con uno pseudo-organizzato, almeno sulla carta. L’unica opzione a disposizione, in così breve tempo, prende il nome di Alta Via del Granito. Tre giorni, due rifugi, chilometri da percorrere, dislivelli da superare, natura, storia, bellezza e nuovi luoghi da scoprire. A seguire, alcuni giorni seminati a spaglio fra le montagne venete e trentine, idee o proposte da cambiare in corsa in base a esigenze o nuove correnti da seguire. Il passo successivo è la rincorsa alla disponibilità di rifugi e bed and breakfast per incastrare il programma vacanziero. Seppur a ridosso della partenza, tutto fila liscio e le ferie prendono forma.

La partenza e l’arrivo sono due luoghi agli antipodi del nostro viaggio, in comune hanno un filo d’asfalto a collegamento, al contrario non convergono sulle loro identità, distinte e distanti. Centinaia di chilometri e diverse ore separano casa dalla meta, un ombelico dritto o tortuoso, ampio a tre corsie o stretto in doppio senso di marcia, immerso fra pianure, valli o montagne, da scoprire in tutta la sua lunghezza.
La strada da percorrere è in nostra attesa. Auto carica, serbatoio di metano in pressione e quello di benzina alla tre quarti, zaini e scarponi nel bagagliaio, chiavi in mano. Un saluto alla terra natia per dare alla luce il nuovo viaggio, l’inizio di un’avventura, la scoperta di terre mai viste e desiderate. Il granito ci attende.
L’autostrada corre verso l’orizzonte tagliando il paesaggio in due metà, campi coltivati e grigi capannoni, colline in divenire e montagne sul finire. Gli scenari cambiano, mutano, virano. Attraversiamo la pianura lambendo le zone pedecollinari dell’arco alpino immersi nelle prime luci del mattino, i chilometri avanzano e con essi le ore di viaggio.
Viriamo a babordo lungo il panciuto ventre del Lago di Garda per seguire una nuova rotta, direzione Nord, verso vicine colline e montagne lontane. Il viaggio prosegue fino ad Affi ove incontriamo la Vallagarina (primo tratto tra i monti della valle solcata dal Fiume Adige) e ne seguiamo l’ampio letto fluviale. Il paesaggio si trasforma all’istante: dalla melliflua delicatezza delle piane padane alle irte muraglie rocciose delle prime montagne. L’Autostrada del Brennero, A22, è ingolfata con ogni genere di mezzo motorizzato, una lenta coda infinita. Navigatore di Google Maps alla mano e deviamo seguendo provinciali e statali che serpeggiano parallelamente alla via maestra. Il lento percorso permette di assaporare i paesaggi con occhi meno frenetici, ne godiamo e assaporiamo i dettagli; al contrario, in autostrada, difficilmente si riescono a percepire. Il lento viaggiare apre nuovi orizzonti che spesso perdiamo nella foga della velocità, sfumature che possono sembrare insignificanti, ma impreziosiscono il bouquet del viaggio.
Altra deviazione, nel centro del paese di Mattarello prende vita la prima scalata a quote maggiori, direzione Valsugana. Lago di Caldonazzo e Levico Terme prima, Borgo Valsugana poi, infine l’ampia valle viene sostituita da una minore. Manca poco all’arrivo, ancora pochi chilometri. L’ultimo tratto, in Val Malene, è immerso in boschi di conifere, ombroso e fresco al riparo dalla calura del mezzodì.
L’auto si spegne nell’abbacinante parcheggio di Malga Sorgazza, ricolmo d’auto, schiaffeggiato dal caldo Sole estivo, nell’unico bugigattolo parzialmente definibile come “posto auto”.
Da qui e d’ora in avanti nasce una nuova avventura, l’Alta Via del Granito.

Cartina escursionistica alla mano, ripercorriamo con lo sguardo la linea zigzagante per ripassare quello studiato a casa, per immaginare i prossimi panorami, per tuffarci in nuove emozioni.

Alta Via del Granito, il punto di partenza presso Malga Sorgazza

Il Sentiero CAI 328, punto di partenza dell’Alta Via del Granito, prende vita dalla bianca carrareccia che termina ai piedi del ristorante Malga Sorgazza. Seguirlo significa entrare in un ambiente opposto all’empia piana di prati e auto, scuro e ombroso, basso, schiacciato da alte conifere che chiudono lo sguardo in una cornice di rami sopra, roccia e terra e muschi sotto, tronchi ai lati, feritoie di luci e ombre fra le linee verticali di sfuggevole bellezza che si perdono fra le fronde resinose. Il sottobosco, pulito, ampio nella sua visiva orizzontalità, pendente nella quota in divenire, accompagna la traccia nel suo percorso tortuoso.
Dal bosco alla prima radura. Il fresco e umido si schianta nell’afosa e assolata radura di alte erbacee, lamponi, ortiche e varie varietà, nella statica presenza di un peso irrespirabile, nell’assenza di ossigeno, nell’affogare affannoso di ogni passo. Cerchiamo la libertà da persone libere. Ogni respiro un’incertezza nel cammino, ogni lacrima una sudata sofferenza verso la salvezza da questo inferno d’afa. Attimi di moria danzano con minuti di lieve dolcezza fra gli alberi, nel sottile respiro del vento, nel gorgheggiare di effimeri rigoli d’acqua. Camminare a bassa quota nelle ore centrali di una giornata estiva è da evitare, se possibile, ma per oggi inevitabile.
Salendo, larici e pini mughi, ultimi baluardi del bosco, si perdono negli ampi prati che ammantano questi pendii montuosi. I panorami si aprono in vallate sconosciute, boschi in lontananza che si schiantano come onde sugli scogli di nuove montagne, cime grinzose, e finissima spuma di mare sollevata dal vento, sfumata in un cielo turchese.
Oltrepassiamo i silenziosi ruderi di Malga Val del Lago, assopiti al sole, immersi fra erbe e pensieri, uno sguardo perso verso l’orizzonte, memorie dimenticate.

Panorama in Val Malene, Cima d’Asta sullo sfondo

Il nostro cammino segue la traccia solcata fra basse erbe, innumerevoli piante di mirtillo costellate da bacche dal tipico blu-violaceo, succose, dolci e asprigne. Oltre, decine di metri più in alto, si intravede una muraglia rocciosa, cristallizzata nel cemento, immobilizzata da invisibili ramificazioni ferrose che ne armano la possente muratura. Immaginiamo acque blu o azzurre se increspate da raggi di luce, incastonate fra irte pareti rocciose e impervi declivi franosi, fredde e silenziose. La fantasia si scontra nella dura realtà dell’assenza, o parziale presenza, di un lago ristretto a un’effimera immagine, a un rigurgito dell’aspra roccia che ne accerchia la cinta. Rocce verticali al cielo, rocce franate in tempi antichi nelle profondità della conca montana in cui il Lago di Costa Brunella è stato immortalato dall’omonima diga. Questa, rispetto alle nostre aspettative, trattiene solamente pietre e sabbia, le acqua sono ben lontane, relegate, isolate. Non conosciamo il motivo di questa ritrosia acquosa, ci limitiamo a immaginarne motivi reali o assenti, ci limitiamo a osservare il paesaggio.

Panorama lungo il Sentiero CAI 328, in basso a sx la diga del Lago di Costa Brunella

Con il trascorrere del tempo, passo dopo passo, le alte nubi hanno accerchiato le vette oscurando i pendii che scendono a valle. Sospinte dal vento si sono arenate appigliandosi alla nuda roccia, e lì lasciate sole per rincorrere altre lontane nubi, come in un gioco senza tempo.
Ci fermiamo per la prima vera pausa della giornata. Al riparo di un masso dal freddo della vallecola, pranziamo con panino spalmato di Nutella lei, crema alle nocciole Novi io; piccoli vizi che allietano le fatiche d’alta quota.
Il cielo corre al rallentatore in un turbinio di luci e ombre, lontane le prime, vicine le seconde.
I prati verdeggianti, di rado punteggiati di fiori, divengono ben presto un ricordo soppiantato dalla vista di sfasciumi di roccia, senza fine alcuna. La traccia del Sentiero CAI 328, di rosso-bianco-rosso dipinta, alterna salite irte, piani baldanzosi, a discese lievi, sassi, pietraie, massi a roccia viva, sparuti angoli di verde, danzanti fiori nel vento, a grigi su grigi, ombre.
Al cospetto di Cima Brunella, il sentiero vira drasticamente a sinistra in direzione della ben delineata Forcella Quarazza; a destra, un’altra via punta verso altre forcelle e cime. Nuove mete per altre avventure, non oggi.

Il sentiero punta verso Forcella Quarazza

Forcella Quarazza è una cornice di ombre in un dipinto di luci accecanti, forti, decise, un paesaggio scolpito fra i contrasti del primo pomeriggio, di aspre rocce a venire e lontane vallate boscose nel divenire, fino a perdersi in orizzonti di lattiginose auree montane, collinari e lande pianeggianti che si perdono verso mari lontani.
Il nostro cammino segue una traccia che letteralmente si perde nella roccia franosa, da disarrampicare per non scivolare a valle, ma che riprende forma dopo qualche metro. Ci rendiamo conto, dopo, che una seconda linea è stata disegnata nel pendio, a breve distanza, un’alternativa meno sdrucciolevole e sicura; dall’alto della nostra posizione non si scorgeva.
Tagliamo orizzontalmente il pendio di Cima Brunella e Cima Trento in una discesa lenta che termina più pendente, ivi un ruscello, oltre risale, fin da subito ripida con numerosi tornanti di mulattiera e sentiero. La roccia lascia spazio a prati minuti che divengono più ampi con l’avvicinarsi del passo. Forzelon di Rava, la forcella, è una linea ondulata che divide obliquamente due mondi, terra e aria, toni scuri e toni chiari. Per raggiungerla si costeggia un laghetto inciso da centinaia d’impronte, capre, e a concludere una salitella terrosa. Una palina dà nome al luogo, un confine, due valli, altri nomi, termini, territori.
Sentiero CAI 328B è il prossimo da seguire, scende in costa sulla destra per proseguire poi in una linea filiforme che serpeggia fra pietraie e prati, lungo versanti scoscesi, per sciogliersi poi in un ampio avvallamento erboso dal quale dipartono nuove tracce, disegni e scritture antiche.
Cimon Rava è alla nostra sinistra, bassa al nostro cospetto, alta dal fondovalle. Coi suoi 2.436 m, qualche decina più alta degli attuali 2.397 m, diviene ben presto la prima vetta del trekking. La vista dalla sommità è ancora più bella della precedente, ampia, infinita. L’Altopiano di Asiago è tanto vicino quanto lontano, fra noi e lui altre valli, laghetti alpini, baite e alpeggi, boschi, sentieri. Una bellezza d’ampio respiro, emozioni solleticate da un fievole venticello, fresco, brioso, che rapisce i pensieri per trasportarli lontano ai nostri sguardi.
Scendiamo, seguiamo la traccia sbriciolosa che fra basse erbacee fiorite di lillà screziate raggiunge la forcella dirimpettaia. Qui riprendiamo il cammino, ora in discesa, percorrendo il Sentiero CAI 328B, fra tratti franosi, altri meno, altrettanti più. Raggiunta quota inferiore, l’arco friabile ruota verso Occidente, ridiscende nuovamente fra terra ed erbe, poi risale per riconquistare quota in un lungo traverso al cospetto di Cima Caldenave. Lungo l’ultimo tratto, complice l’erba incolta, alta e coprente, perdiamo la traccia per seguirne altre, finte, che finiscono nel tuffarsi in altri cespugli erbacei fini a se stessi. Forcella Ravetta, ultima tappa intermedia, è a pochi metri. Tagliamo in diagonale, recuperiamo il sentiero originale e muoviamo gli ultimi passi nella terra ocracea soffiata dal vento teso.

Indicazioni CAI presso Forcella Ravetta

Un passo, altri paesaggi, nuovi, ancora più belli, vallate, boschi e altre vette, una catena di cime, Lagorai, altre avventure per emozioni future.
Breve pausa, spuntino, e riprendiamo il cammino. La meta è vicina, manca poco. Rifugio Caldenave attende il nostro arrivo, là da qualche parte nella valle, fra i due pendii boscosi. La stanchezza di scioglie nel vento e con essa ogni pensiero, la bellezza delle bianche nuvole rotolanti trasporta i nostri sguardi verso lontane emozioni.
Val di Ravetta inizia con una discesa scoscesa, franosa e sabbiosa, poi diviene sassosa, pietrosa, per adagiarsi infine in un’ampia conca, un prato, massi enormi a crogiolarsi al sole come marmotte grassocce. La comparsa dei larici e mughi anticipa il bosco, perdiamo nuovamente quota fra brevi tornanti, serpeggiamo verso valle.

Val di Ravetta e i Lagorai sullo sfondo

Escrementi di cavallo, o asino, indentificarli non saprei, anticipano una scura presenza, un quadrupede al pascolo fra i mirtilli. Si allontana al nostro passaggio, scompare fra i rami di abeti e larici, un manto nero si perde nell’oscurità del bosco. Ne incontriamo un altro, roano, e poi un altro ancora, baio, un puledro quest’ultimo. La boscaglia termina in un pianoro acquitrinoso, il ruscello non riesce a scavarvi un letto, quindi scivola in ogni dove inzuppando la terra intrisa d’acqua. Altri cavalli, pezzati, monocolor alcuni, bicolor altri, grandi e piccoli, con la criniera folta alcuni, meno altri. Abituati come siamo alle vacche al pascolo, incontrare così tanti cavalli è inimmaginabile, chi l’avrebbe mai pensato, un sorpresa divertente, simpatica, alternativa.
Sullo sfondo, oltre gli abeti, un edificio, il rifugio, la conclusione della prima tappa dell’Alta Via del Granito, il riposo, la cena, una profonda dormita.
Il Rifugio Caldenave giace nell’ombra del pomeriggio, sulle cime della valle opposta splende ancora il Sole. Peccato, avrei gradito di riposare negli ultimi raggi del giorno, coccolato, accarezzato, mentre le luci virano verso i caldi toni del tramonto. Non qui, ombra.

Mascherina alla bocca come museruola, entriamo per annunciare la nostra presenza, a distanza. Veniamo accolti dal rifugista che spiega ogni dettaglio della dimora, dalle regole generali a quelle specifiche causa COVID-19.
La camerata da quattro posti letto è la meta ultima del nostro viaggio, quotidiano si intende, e in essa gli zaini esplodono come per magia. Nel bagno comune riprendiamo una sembianza umana, la doccia sarà per la prossima volta, sembra non esserci. O meglio, c’è, lo scopriamo verso sera quando i nostri coinquilini stendono degli asciugamani e noi, sbigottiti, chiediamo lumi. Stupiti per la dimenticanza del rifugista che si è ampiamento prodigato, al nostro arrivo, a elucubrare descrizioni varie ed eventuali con tutta la minuzia del caso, forse troppa, e bellamente si è dimenticato di narrare le beltà della doccia calda. Pazienza, oramai è tardi per rimediare, meglio pensare alla cena.

La mascotte del Rifugio Caldenave in attesa della cena

Il menù prevede pasta col sugo, lonza con polenta. La lonza non era lonza, bensì una sorta di prosciutto cotto al forno o similare, pasta buona. Voto 5.
L’indomani ci aspetta un camminata lunga, non difficoltosa, ma faticosa, quindi ci ritiriamo nelle nostre brande a castello. Alla spicciolata, chi prima, chi dopo, tutti spostano le membra nei rispettivi giacigli, le luci si spengono e il silenzio assale il rifugio.


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