Sentiero delle Orobie Occidentali – Tappa 5

Il Sentiero delle Orobie Occidentali è un’alta via che si sviluppa dal paese di Cassiglio fino al Rifugio Fratelli Calvi. Sei tappe da vivere alla scoperta delle meravigliose montagne bergamasche, lungo sentieri, vallate e monti dell’alta Valle Brembana. Questo percorso escursionistico costituisce la prima parte del Sentiero delle Orobie assieme a quello Orientale, quest’ultimo valica in Valle Seriana per terminare infine al Passo della Presolana.
Al contrario del secondo tratto, che richiede il set da ferrata, il Sentiero delle Orobie Occidentali non necessita di particolare attrezzatura o preparazione, solo allenamento e attenzione per i tratti più esposti.
Per comodità personale, ho spalmato tre tappe in due e, anziché terminare il cammino a Carona, sono arrivato fino in Valcanale.

TAPPA 5

(Rifugio Fratelli Calvi – Valcanale)

Apro gli occhi consapevole che quest’oggi si concluderà la mia avventura, consapevole che con questa stessa avventura si aprirà un mondo di lunghe escursioni che era rimasto sopito per troppo tempo e ora scalcia per dare vita a una nuova era dedicata alla scoperta della montagna.
Lavato e stirato per bene, preparo l’attrezzatura e scendo in sala da pranzo per la colazione. A farmi compagnia gli altri escursionisti, ognuno dedito alla prelibata fase di rimpinzare lo stomaco con le dolci leccornie a nostra disposizione.
Caricato il pasto nella pancia non resta che caricare lo zaino sulla schiena. I saluti e gli auguri di buona camminata e buona giornata non si sprecano sulle bocche dei diversi avventurieri, qualche arrivederci risuona nell’etere tra quelli in partenza e fra coloro con le gambe sotto i tavoli. Io e i miei compagni di avventure ci auguriamo di incontrarci nuovamente lungo l’ultimo cammino fra il Rifugio Laghi Gemelli e il Passo Mezzeno; chissà chi arriverà prima e chissà se mai ci rivedremo. Un sorriso unanime si rispecchia sui nostri visi prima che ognuno prenda la sua strada verso la meta.
Il Rifugio Fratelli Calvi mi trattiene ancora seppur abbia salutato tutti, sono arenato oltre la soglia dell’ingresso. Stavo cercando di prendere il largo, ora mi ritrovo a chiacchierare con un paio di amici escursionisti che non vuole farmi scappare.
Colgo l’occasione della prima brezza mattutina per lasciare la bonaccia alle mie spalle e con un lungo arrivederci gonfio le vele, gli scarponi prendono la rotta verso l’infinito baciati dal raggiante Sole. Sono in viaggio, i pensieri solcano le onde dei ricordi passati e volano sulle nubi dei ricordi futuri.

Lago Fregabolgia e la sua diga, gli azzurri del cielo si riflettono sulle scure acque del lago

Dal Rifugio Fratelli Calvi la strada terrosa serpeggia delicatamente lungo l’alta riva del Lago Fregabolgia fino ad arrivare all’omonima diga, scivola poi ondeggiando in una breve serie di curve e tornanti fino a un vicino pianoro ove i resti della Baita Costa della Mersa ne caratterizzano l’ambiente. La carrareccia riprende il suo morbido serpeggiare fra prati smeraldini e dignitosi abeti per poi scendere celermente fra tratti noiosamente cementati e tratti briosamente sterrati. Il bivio col Sentiero CAI 213 è l’ancora della mia salvezza, la colgo al volo per dimenticare la monotona via appena percorsa; da questo punto in avanti sarà tutto sentiero.
Il Sentiero CAI 213 si tuffa senza convenevoli nel bosco di abeti e ontani e senza altrettanti complimenti corre verso il fondovalle dove giunge al torrente, lo stesso torrente che nei chilometri a seguire viene chiamato Fiume Brembo.
Il sentiero prosegue nel fitto bosco adombrato dalle vicine montagne quali Cima dei Frati e Monte Val Rossa, vette invisibili dalla mia posizione ma ben presenti con la loro solenne mole. Sale dolcemente guadagnando alcuni metri di dislivello e spiana placidamente fino a raggiungere il bivio col Sentiero CAI 236. Due strade, due differenti direzioni, stessa meta: Rifugio Laghi Gemelli. I francesi mi anticipano percorrendo il sentiero attuale, la via classica, io al contrario voglio fare l’alternativo e, per non farmi mancare alcunché, decido ovviamente di puntare alla deviazione atipica per questa tappa, ovvero Passo d’Aviasco Occidentale come tappa intermedia.
La Valle dei Frati si apre alla mia sinistra, buia e sconosciuta. Riprendo il passo, agile e scattante, per conquistare in rapidità il vicino Lago dei Frati e la sua diga. Il bosco ombroso e fittamente ricco si dirada non appena raggiungo una quota maggiore e, in prossimità della diga, si apre maggiormente mostrandomi un paesaggio mai visto prima. Una lunga vallata abbracciata da creste aguzze, illuminate le destre e adombrate le sinistre, dalle screziature verdeggianti delle erbe ai ghiaioni grigio rossastri delle rocce franate in tempi dimenticati. Un lago dalle tinta verdi, specchio dell’anima del cielo turchese. Un passo, lontano, quasi inarrivabile, ingioiellato da un nevaio incastonato fra le rocce franose.
Il sentiero costeggia la riva mancina per i primi passi, sale di quota nei successivi e lo oltrepassa oltre la quota di 1.950 m circa. Prosegue oltre, lungo il versante in ombra, fra ammantamenti detritici di sfasciumi e massi prima, massi e sassi nel mentre, sassi e fine ghiaia sul finire.

La Valle dei Frati con il Lago dei Frati sul finire

Il Passo d’Aviasco è appollaiato a 2.289 m s.l.m. e la strada da percorrere per raggiungerlo è ancora molta. Stringo i denti, voglio macinare la terra sotto i piedi al massimo delle mie forse, scalo e accelero anziché rallentare per la ripida salita finale.

Paesaggio dal Passo di Aviasco Orientale, il Lago di Aviasco sullo sfondo

Passo d’Aviasco Occidentale apre un nuovo scenario su un’altra vallata sconosciuta, la Val di Gorno. Al suo interno il Lago Colombo, la sua diga, prati sulla destra orografica, mugheti sulla sinistra, un alpeggio e una finissima linea biancastra che taglia l’intera valle puntando allo sbarramento di calcestruzzo armato.
La nuova via prende il nome di Sentiero CAI 214. La discesa è rapida, non ripida, zigzaga nel primo tratto e poi degrada perdendo quota fra morbidi prati d’alta quota imperlati da sparuti fiori e diversi massi. Centoquaranta metri più in basso, Baita di Gornì si crogiola al caldo Sole. Prendo spunto dalla sua rilassatezza per una breve pausa, spuntino, omino e fotografia di rito.
Lago Colombo, al contrario del precedente, ha un aspetto più oscuro, monotono nelle sfumature di blu, salvo per quelle più azzurrognole della vicina riva ove si immettono diversi ruscelletti.
Riprendo il cammino lungo il Sentiero CAI 214, in costa lungo i pendii scoscesi dell’adiacente Pizzo del Becco. La traccia è orizzontalmente ben evidenziata nei ripidi prati del monte e percorrerla è piacevolezza allo stato puro per le gambe, manna per accelerare ulteriormente il passo.

Barech custodisce un insolito giardino minimalista nei pressi dei Laghi Gemelli

Attraversata la diga, la via prosegue su un brevissimo tratto leggermente sdrucciolevole che lascia ben presto il posto a una comodissima mulattiera pianeggiante. Questa, in pochi minuti, porta al vicino Rifugio Laghi Gemelli.

Laghi Gemelli dalla diga

Orde di camminatori sono sparpagliati nei pressi del rifugio e lungo i dolci pendii erbosi dell’alpe. Tutti, nessuno escluso, ha come unico obiettivo il pranzo.
E’ ora anche per il sottoscritto, la fame inizia decisamente a farmi prorompente. Ma…dove sono i francesi? Saetto lo sguardo in ogni direzione, cerco e ricerco visi familiari, niente, non ci sono. Mi avranno anticipato sicuramente, la loro strada era quasi completamente pianeggiante, seppur più lunga della mia, ma loro hanno un handicap dovuto a scarponi malconci di un loro membro. Attendo, decido di aspettare dieci minuti, anche solo per salutarli un’ultima volta.
L’attesa viene ripagata al dodicesimo minuto, intravedo l’avanguardia. Gli sguardi di entrambe le fazioni si incrociano nel vociare comunitario.
Sbigottiti nel vedermi sul posto, mi domandano da quale cilindro sono saltato fuori, increduli. Racconto la mia deviazione, il dislivello aggiunto, i passi frenetici, i nuovi paesaggi. Sorridono per divertimento, leggono in me la pazzia, sorridono al rivedermi per salutarci un ultima volta.
All’arrivo della retrovia, pranziamo tutti assieme nell’unico angolo di prato non colonizzato.

Foto di gruppo presso i Laghi Gemelli

La foto di gruppo di famiglia è il saluto finale, l’addio, che separa la nostre strade. Valle di Mezzeno loro, Val Canale io.
Mentre mi allontano lungo il Sentiero CAI 216, con direzione Passo Laghi Gemelli, lascio lo sguardo all’immenso bacino dei Laghi Gemelli incastonato fra i pendii scoscesi e ripidi di Pizzo Farno, Monte Corte, Cima di Mezzeno, Monte Spondone, Monte del Tonale e Pizzo delle Orobie.
La via sale gradualmente nella prima parte, fino al bivio fra il Sentiero CAI 215, direzione Passo di Mezzeno, e il Sentiero CAI 216, direzione Passo Laghi Gemelli. Oltre un’altra scelta, ovviamente quella diversa per un preciso motivo, un ultimo saluto inaspettato. Anziché puntare direttamente al Passo Laghi Gemelli, devio al Passo di Mezzeno per poi tagliare orizzontalmente sotto Cima di Mezzeno e infine raggiungere Passo Laghi Gemelli. Tutto questo per due motivi, il saluto finale e fare una deviazione.
Riprendo la marcia serrata, voglio macinare la terra sotto i piedi fino al Passo di Mezzeno, più per orgoglio personale, sfida, che per arrivare prima a casa.
Al Passo di Mezzeno lascio a terra il pesante zaino, cerco i sassi rossastri migliori che offre la sella fra Cima di Mezzeno Occidentale e Monte Spodone, imbandisco un omino sotto lo sguardo curioso di numerosi escursionisti. Chissà se lo troveranno integro al loro arrivo, chissà se mi contatteranno via email per dirmi d’averlo trovato. Fra gli astanti chiedo se qualcuno ha intenzione di soffermarsi ulteriormente nella pausa pranzo anziché continuare verso i Laghi Gemelli o verso casa. Una famigliola alza la mano, spiego la mia idea e la fanno loro con un radioso sorriso.

Equilibrio precario n.5, omino di saluto presso il Passo di Mezzeno, l’Arera sullo sfondo

Li ringrazio nuovamente mentre riprendo il cammino. Spero vivamente che i francesi non tardino troppo nel raggiungere il passo, non vorrei che la famiglia si stufasse dell’attesa, che non racconti loro del mio ultimo saluto, che quindi si allontani anticipatamente verso casa.
Il traverso da un passo all’altro è abbastanza agevole, non esplicitamente segnalato dai segnavia, ma comunque facilmente individuabile fra i massi del pendio roccioso delle Cime di Mezzeno.
Passo dei Laghi Gemelli, ennesima tappa intermedia, nuova quota, altitudine di 2.139 m, altra valle, Val Canale, questa volta conosciuta da trascorse scampagnate con amici.
Il Sentiero CAI 216 prosegue il suo cammino con meta Rifugio Alpe Corte. Riparte fra massi e sfasciumi, perde quota rapidamente con esposizione meridionale e sfumatura orientale. I primi prati anticipano l’alpe a venire, Baita Corte Alta, lungo uno stretto pianoro. Poi ridiscendo fra veloci tornantelli e rettilinee discese fino al secondo anfiteatro prativo, Baita Corte di Mezzo.

Baita Corte di Mezzo e il suo alpeggio sono custoditi dall’imponenza dell’Arera

Si rituffo per l’ennesima volta verso valle, serpeggia innumerevoli volte per raggiungere il torrente spumeggiante. Dapprima lo costeggia sulla destra, un ponticello in legno, poi sulla sinistra. La via è definitivamente più leggiadra e tranquilla, discende delicatamente fino al vicino Rifugio Alpe Corte, ultima alpe a scendere, Baita Corte Bassa.
Non mi soffermo fra le infinità di persone ammassate ovunque, due pensieri pesano oltre lo zaino: le persone vocianti e il caldo afoso. Ebbene si, a quota 1.400 m ripiango in via definitiva le altitudini maggiori dove il caldo estivo è una piacevole sensazione di benessere, qui, al contrario, è appiccicosamente opprimente, come le persone.
Chiudo occhi e orecchie, ingoio la melassa nei polmoni e scendo a capofitto verso Valcanale.
Compongo il numero del taxi, una voce familiare mi aspetta dall’altro capo della linea con la gioia nel risentirmi vicino a casa. I due antipodi ora sono in marcia, a piedi uno e in auto l’altra.
Il Sentiero CAI 220 è una strada sterrata che si dilegua nel bosco, non una traccia stretta come ce la si potrebbe immaginare. Seguo l’ampia via in senso contrario, la maggior parte degli escursionisti sale verso il Rifugio Alpe Corte alla ricerca di frescura, al contrario io scendo verso casa abbracciando la calura estiva, grave di umidità. Le brezze d’alta quota, l’aria fresca e briosa, sono solo un ricordo che gassifica discendendo di quota.
Il bosco di abeti è una coperta di lana che trattiene una calda presenza irrespirabile, bramo un’immaginabile refolo mitigante proveniente dal non lontano torrente. I passi corrono spediti come le gocce di sudore che sfrecciano lungo la pelle madida.
All’arrivo mi attende un parcheggio asfaltato dove termina la carrareccia.
La parola fine ha un peso enorme, gravato da tanta fatica e infinite emozioni. Il tutto si libera nel momento in cui mollo lo zaino a terra, un turbinio di sensazioni pesanti e leggere cadono sull’asfalto o evaporano nella torrida aria estiva. L’attimo finale diviene un interminabile ricordo dei cinque giorni appena conclusi, la stanchezza si trasforma inaspettatamente in nuova energia che mi fa desiderare una nuova partenza, riprendere il cammino e tornare a solcare i sentieri bergamaschi alla conquista del Sentiero delle Orobie Orientali. Purtroppo la realtà ha già scritto un futuro differente: devo tornare al lavoro. Il proseguimento viene solo rimandato con la speranza di proseguire l’avventura l’anno venturo.
Salgo in auto, il taxi dell’andata. Lungo i chilometri che mancano a casa riverso un fiume di parole a mia mamma che è obbligata a digerirle una dopo l’altra in questa rincorsa verso una calda e accogliente doccia ghiacciata.


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