Il Sentiero delle Orobie Occidentali è un’alta via che si sviluppa dal paese di Cassiglio fino al Rifugio Fratelli Calvi. Sei tappe da vivere alla scoperta delle meravigliose montagne bergamasche, lungo sentieri, vallate e monti dell’alta Valle Brembana. Questo percorso escursionistico costituisce la prima parte del Sentiero delle Orobie assieme a quello Orientale, quest’ultimo valica in Valle Seriana per terminare infine al Passo della Presolana.
Al contrario del secondo tratto, che richiede il set da ferrata, il Sentiero delle Orobie Occidentali non necessita di particolare attrezzatura o preparazione, solo allenamento e attenzione per i tratti più esposti.
Per comodità personale, ho spalmato tre tappe in due e, anziché terminare il cammino a Carona, sono arrivato fino in Valcanale.
TAPPA 2
(Rifugio Grassi – Rifugio San Marco 2000)
Prima che la sveglia del cellulare suoni la canzone En el muelle de San Blas dei Manà, una delle mie preferite, ho già gli occhi sparati al soffitto. Sono lucido, pimpante, pronto per iniziare la seconda tappa della mia avventura. Le prime note malinconiche della canzone mi seguono mentre esco dal saccoletto, interrompo il motivetto per evitare di svegliare gli altri ospiti, preparo lo zaino e, mentre vado a lavarmi, la suonata continua a echeggiare nella mia mente.
In una manciata di minuti, tutti i cinque ospiti del Rifugio Grassi, sottoscritto compreso, si riuniscono in sala da pranzo per infilare le gambe sotto il massiccio tavolo in legno; è tempo della colazione. Amos, il rifugista, arriva accompagnato da un florido paniere con biscotti secchi, fette biscottate e, ovviamente, il suo pane preparato con pasta madre, farina integrale e semi vari. Burro e marmellata di mirtilli si stendono da soli sulle fette della saporita e ricca pagnotta, una dietro l’altra e lo stomaco è pienamente soddisfatto. Fresco succo di frutta e caldo latte macchiato bagnano il tutto per soddisfare spirito e corpo.
Saluto sia Anna e Amos con un arrivederci a breve termine che la coppia di signori pronta ad affrontare l’ascesa al Pizzo dei Tre Signori. Gli altri due ospiti del rifugio mi hanno preceduto nella partenza, li saluterò lungo il sentiero.
Zaino in spalla e avanti tutta verso il Rifugio San Marco 2000. La giornata è quasi perfetta, dico quasi perché alcune masse umide si stanno addensando qua e là nella valle e sui pendii dei monti circostanti; non promettono temporale, ma di certo non garantiscono un cielo sereno. I caldi raggi del Sole crepitano nell’umida aria mattutina, gli steli d’erba luccicano come collane di diamanti nella vetrina di un orefice e le ombre delle cime si accorciano per lasciare risplendere i prati.

Il facile sentiero, che nasce dal Rifugio Grassi, si allunga sinuosamente verso la Cima di Camisolo. Rimane costantemente sulla costa del monte lambendone sovente la cresta erbosa che divide la Val Biandino dalla Valle Stabina. Colgo l’occasione per soffermarmi brevemente sulla cresta per ammirare il paesaggio alpino che mi circonda. In Val Biandino il Lago di Sasso è una piccola perla incastonata in una stretta valle sormontata da baluardi rocciosi che anellano lo specchio d’acqua, poco più in alto il Rifugio Santa Rita si staglia dalla Bocchetta della Cazza, fra la Val Biandino e la Val Varrone, e allunga lo sguardo verso l’orizzonte per assaporare il nuovo giorno. In Valle Stabina il Sole penetra profondamente nelle morbide rotondità dei boschi che ammantano la valle, mentre piccoli paesi e borghi di montagna osservano impassibili il tempo che scivola sulla rugosa pelle orobica. Pizzo dei Tre Signori domina le valli circostanti mentre le nebbie si addensano, risalgono i versanti e sfiorano le quote più alte.
La traccia del Sentiero delle Orobie Occidentali prosegue fino a superare un dosso roccioso, ne discende la cresta sassosa fino a raggiungere Bocchetta Alta, oltre giunge al bivio con il sentiero che sale verso il Caminetto del Pizzo dei Tre Signori. Al crocevia guardo verso l’alto e, a poche decine di metri sopra la mia testa, vedo la terza coppia intenta nella salita al pizzo; ci sbracciamo per l’ultimo saluto e ognuno prende il proprio cammino.

La via di destra, il Sentiero dei Solivi, è la strada da percorrere: è ben segnalata con i colori rosso-bianco-rosso e altrettanto ben celata dai lunghi filamenti d’erba che ne coprono la traccia. Il primo tratto non mi piace affatto: è difficile capire dove poggiare i piedi con sicura certezza e il crinale a picco sulla Valle Stabina non aumenta di certo la tranquillità, bensì ne alza il timore. Niente di difficoltoso, sia chiaro, ma la prudenza non è mai troppa.

Nel frattempo le nubi hanno avvolto completamente piedi, corpo e cima del monte sul quale ne percorro la cintura. Di rado qualche raggio di Sole riesce a penetrare l’umida coltre grigiastra, si creano dei magici effetti di luci e ombre con le guglie che crescono sull’erto pendio come corna di un antico mostro primordiale. Di rado, in lontananza, compaiono delle minute case che vanno e vengono, compaiono e scompaiono a piacimento dell’umidità.
Mano a mano che percorro la traccia le erbe si diradano e i miei passi diventano saldi e sicuri; allungo il passo. Incontro un esiguo gruppetto di stelle alpine che si crogiolano nella baluginante mattinata, tranquille e beate, protette dalla maestosità del pizzo e cullate da una gradevole brezza.
Giunto nei pressi di Cima Fontane la vista si apre sulla Valle dell’Inferno lungo la quale sale il Sentiero CAI 106 proveniente da Ornica. Percorro abbastanza celermente la via in discesa, incrocio l’altro sentiero e proseguo oltre verso il Rifugio Cesare Benigni. Si costeggia un tondeggiante rilievo sormontato da una croce: viene chiamato Poiat. Poco più avanti mi imbatto in un modesto ghiaione che si affaccia sulla valle, osservo i sassi distesi a prendere la tintarella e decido di dedicarmi all’omino della seconda tappa. Preparata l’attrezzatura fotografica poso la prima pietra al cospetto della Sfinge dei Tre Signori.

Le quattro pietre successive non hanno la fortuna di essere mirate dalla Signora dei Signori se non per brevi istanti, le nubi celano definitivamente la figura mitologica. Per non rischiare di rovinare un’altra opera mi limito a cinque funanboli, scatto la foto ricordo e dico addio alla mia piccola creazione. Da lì a poco giungo in corrispondenza di un ripido canale roccioso che preannuncia un’altrettanta ripida ascesa. Salgo a fatica il primo tratto, continuo la salita in un parallelo canale posto a destra del primo, cerco con lo sguardo i vari massi marchiati in bicolor che mi descrivono la strada da affrontare per non perdere la direzione, risalgo con meno fatica la cresta sul culmine della vallecola, proseguo il cammino immerso nella nebbia e, al termine di questa lista della spesa, salgo un altro tratto finché arrivo sulla cima del Monte Giarolo. Roccia e nubi spadroneggiano sul paesaggio che mi circonda, solo qualche spiraglio nel cielo mi permette di ammirare i colori nella Valle di Trona, il Lago di Trona e il fratellino minore, il Lago Zancone.
La bellezza delle nubi in montagna è dietro a ogni angolo. Si possono scoprire mondi nascosti, conosciuti e inusuali, nuovi e mai abituali, è difficile stancarsi dell’espressività che nasce dal connubio di nubi e rocce, luci e ombre, colori e grigi, caldi e freddi. L’unico aspetto negativo è quando la nebbia non permette di vedere la punta del proprio naso, in questi casi la monotonia paesaggistica diventa la tomba della poesia.
Mentre discendo il versante verso la Bocchetta di Val Pianella le nuvole si aprono per darmi il benvenuto in una nuova valle, la Val Tronella.

In breve tempo, dopo qualche delicata salitella, raggiungo l’incrocio col Sentiero CAI 108 che sale dalla strada diretta ai Piani dell’Avaro. Anziché continuare la via, preferisco prendermi una pausa nei pressi del Lago Piazzotti, quindi salgo brevemente al Rifugio Cesare Benigni, prendo la traccia verso sinistra e in pochi minuti arrivo alla tappa intermedia. Al laghetto mi fermo per fotografare il rifugio che si specchia sull’acqua leggermente increspata dalla brezza meridiana, le rocce tutt’intorno si tuffano nei crespi riflessi in un abbraccio con l’isolato edificio alpino.

Il vento sferza i cumuli che ballano nel cielo fondendosi, intrecciandosi, accoppiandosi in una danza sensuale, un rituale d’accoppiamento. Guardando le nuvole capisco che la pausa non sarà accompagnata dal caldo tepore del Sole, bensì dalla rigida frescura delle correnti d’aria che fischiano fra i massi piovuti dalle cime circostanti. Mangio l’immenso panino di Amos doppiamente farcito con speck e formaggio d’alpe, l’abbiocco è pronto ad azzannarmi alla nuca, ma riesco a reagire prima che il predatore mi colga alla sprovvista, carico il fardello e riprendo il cammino.
Lascio il Rifugio Cesare Benigni alle mie spalle discendendo il serpeggiante sentiero della conca erbosa che porta al pianoro sottostante, poi affronto il ripido canale roccioso percorso perennemente da un rivo d’acqua che non facilita né il compito di salita, né tantomeno quello di discesa. Sul fondo della fonda fenditura, prendo il sentiero di sinistra che taglia in costa fino a raggiungere il Passo di Salmurano, antico punto di connessione fra la Valle Stabina, in Valle Brembana, e la Val Gerola, in Valtellina. Sono ancora presenti le testimonianze di un passato militare risalente alla Grande Guerra.

L’alta via prosegue per un breve tratto lungo una cresta per poi tendere in costa verso un pianoro erboso, da qui si discende a sinistra verso un ampio anfiteatro pianeggiante dove incontro un branco di capre intende a brucare meticolosamente il manto verde dell’alpeggio.

Passo accanto a diverse baite, alcune incastonate sotto immensi macigni, altre sparse qua e là come i caprini al pascolo, poi risalgo il versante opposto dell’ampio vallone fino a raggiungere un altro alpeggio; quest’ultimo impreziosito da un piccolo laghetto nel quale le brune alpine si specchiano per mirare la loro bellezza bovina. Lungo l’ultimo tratto di cammino le imponenti nubi, che hanno caratterizzato le foto realizzate al Lago Piazzotti, si sono ritirate verso le alte vette dei monti circostanti. Fra i gruppetti di umidi pecoroni celesti appollaiati come aquile si sono aperti stupendi squarci di un timido azzurro turchese. La luce diventa, col passare del tempo, sempre più abbacinante e il calore riversato su prati e pendii si appesantisce maggiormente. La lunga camminata, la stanchezza e la sete mi fanno prosciugare le ultime stille d’acqua; per fortuna manca veramente poco alla meta.

D’ora in avanti il sentiero diventa più delicato e le ripide discese o ascese sono oramai un ricordo. I tratti pianeggianti si alternano spesso a quelli ondulati caratterizzati da facili salite e ancora più facili discese. La via, quasi tutta a mezza costa lungo i crinali del Monte Ponteranica e Monte Colombarolo, raggiunge abbastanza celermente il Piano dell’Acqua Nera. Dagli alpeggi posti sul versante opposto della valletta sento urla, parole senza senso alle mie orecchie, ma con un chiaro e imperativo significato per i cani che tengono sotto controllo le vacche più indisciplinate. Ultimissima discesa e giungo al torrente del Piano dell’Acqua Nera. Vedere alcune ragazze sdraiate su un masso a prendere il Sole o a intingere i piedi nel ruscello mi fa rinsavire, i pensieri volano verso un bel boccale di fresca birra e una doccia rigenerante, ovviamente anche alle ragazze. La stanchezza è incalcolabile, il caldo molto di più, prosciugo la seconda borraccia e mi fiondo verso l’ultima salita della giornata.
Il sentiero risale delicatamente in costa per poi continuare in piano fino al Rifugio Cà San Marco. Mi scappa l’occhio e in lontananza vedo un gruppo numeroso di escursionisti che si dirige verso il rifugio, che siano i francesi? Allungo il passo e, nei pressi del parcheggio del rifugio, mi trovo in coda agli escursionisti, li osservo e capisco che non sono italiani; forse sono proprio loro. Non mi soffermo coi pensieri, mi fiondo al Rifugio San Marco 2000 perché stanchezza e sete non mi fanno più ragionare; forse le ragazze incontrate lungo il cammino erano un miraggio. Arrivo al termine della seconda tappa con meno di sette ore di cammino comprese di numerose soste, fermate e intervalli. Anche oggi, come per il giorno precedente, la resa è stata ottima!
Chiavi della camera in mano, entro, mollo tutto l’armamentario per terra e sul letto, mi spoglio e, armato di sapone e salvietta, mi tuffo sotto la doccia; rigenerante, resuscitante, divinamente tonificante. Step successivo: cambio d’uniforme, boccale di birra lager e relax sul divanetto fronte bar. Nel frattempo arriva il gruppo di nove camminatori, tempo due parole con la ragazza alla cassa e capisco che sono loro: i futuri compagni di viaggio. Anche loro, dopo essersi sistemati, salgono nella sala del bar a prendersi una birra fresca o uno spumantino; la fatica in montagna richiede sempre una birra di compagnia. Esco per rubare gli ultimi raggi di Sole e incontro un runner col quale avevo fatto due parole veloci alla Bocchetta di Trona, quattro chiacchiere di montagna e fotografia mentre gli ultimi fasci di luce vengono inghiottiti dalle nuvole che adombrano le vette. Rientro e scopro, con piacere, che uno dei nove viaggiatori parla un italiano quasi impeccabile, scambiamo quattro parole ed entrambe constatiamo che le nostre future tappe saranno identiche. Uno dei suoi compagni ha avuto la sfortuna che gli si aprissero entrambi gli scarponi proprio durante gli ultimi chilometri; scarpone vecchio fan buon brodo, non una buona camminata. Provano a portare gli scarponi a valle per una sistemazione al volo, il giorno seguente ne conosceremo le sorti.
Tra una cosa e l’altra, il tempo è volato e l’ora di cena è giusta. Ci trasferiamo tutti e dieci nella sala da pranzo, in altri tavoli ci faranno compagnia una coppia e un ragazzo solitario. Ordino un piatto con cervo in umido e polenta taragna, birra media e tanta fame. Al termine, soddisfatto, ma con ancora un languorino, ordino il tagliere di formaggi misti della Valle Brembana; con questo lo stomaco è satollo e non c’è via di fuga. Sono soddisfatto, una buona cena montanara, ricca e saporita. Rimando la fetta di torta a data da destinarsi. Ora, per tornare in camera, non riuscirò a camminare, rotolare sarà più facile. Io e i miei compagni di viaggio salutiamo le gentili donzelle che lavorano al rifugio, prendiamo strade diverse, ognuno per il suo letto.
Punto la sveglia malinconica per il giorno seguente, ultimi preparativi pre-dormita e un sonno profondo mi aspetta.