L’Altopiano dei Sette Comuni, noto anche come Altopiano di Asiago dal nome dell’omonimo centro abitato, è un vasto altopiano situato nelle Prealpi Vicentine fra le province di Vicenza e di Trento. L’altopiano è un ampio massiccio montuoso dalla forma pressoché quadrangolare che occupa una superficie di oltre 600 kmq, entro un intervallo altimetrico compreso fra gli 87 m e i 2.341 m s.l.m.. A ovest è delimitato dalla profonda Val d’Astico, a nord e a est dalla Valle del Brenta, e a sud dai pendii di alcune colline pedemontane dell’alta pianura vicentina. Il percorso che abbiamo affrontato si snoda lungo i pendii e gli ampi pianori delle vallate presenti nell’area settentrionale dell’omonimo altopiano. Il tracciato, sviluppato lungo diversi Sentieri CAI, mulattiere, strade sterrate e sentieri meno battuti, inizia e si conclude presso il paese di Gallio, passando per Castelloni di S. Marco, Cima della Caldiera, Monte Ortigara, Cima Dodici e Cima Portule.
TAPPA 2
(Castelloni di San Marco – Bivacco Buse delle Dodese)
I morbidi e vellutati raggi del mattiniero Sole si insinuano dolcemente nel canyon che ha ospitato sogni profondi. Le aspre pareti rocciose riflettono la fioca luce che irradia le tende con amabile delicatezza, i nostri sensi si risvegliano dal torpore notturno con un tepore dipinto di giallo e arancione, come i toni dell’alba. L’aria è frizzante, profuma di muschio e rugiada, di roccia e terra, di corteccia e sottobosco; un inebriante tuffo in sensazioni sensoriali nelle quali ci immergiamo per affondare lo spirito e soffocare la stanchezza.
Temprati dalla colazione, riprendiamo il cammino in direzione Bivacco Buse delle Dodese. Passeremo da Cima della Caldiera e Monte Ortigara.
Lasciamo l’orrido alle nostre spalle inoltrandoci per l’ultima volta all’interno dell’indimenticabile labirinto roccioso. Passati numerosi dislivelli, anche impervi, e oltrepassate alcune anguste strettoie, veniamo catapultati all’esterno del dedalo dei Castelloni di San Marco.
Un ultimo sguardo al fresco passato, senza dimenticare le emozioni e sensazioni provate, per indirizzare poi la vista verso il sentiero che ci attende. Il percorso, dopo qualche leggero dislivello, discende vorticosamente per un tratto modesto per poi adagiarsi delicatamente sul morbido pendio boscoso. A nord, la Valsugana precipita vertiginosamente sulle irte pareti dell’Altopiano dei Sette Comuni con un salto di centinaia di metri, mentre a sud i fitti boschi di conifere si espandono a vista d’occhio fino all’orizzonte, intervallati qua e là da verdi pascoli prealpini. A est, il labirinto ci saluta con un arrivederci, mentre a ovest Cima della Caldiera attende il nostro arrivo.

Raggiungiamo dapprima le Sellette dei Castelloni (quota 1.818 m s.l.m.), successivamente il bivio per Pra Moline con Cima della Caldiera e Malga Fassetta con località Tiffgruba (ore 8:38), infine giungiamo alla Busa dei Quaranta.
Busa dei Quaranta: un’ampia dolina di crollo a forma rettangolare, delimitata su tre lati da verticali pareti rocciose e su uno da un piano inclinato ricco in massi e sfasci di varie dimensioni, conficcata in un modesto pianoro erboso contornato da abeti rossi sparpagliati lungo i margini della selva.


Qualche minuto ad ammirare la capiente voragine per poi ripartire celermente verso la prima sosta della giornata: Fontanello Isidoro.
Dedichiamo la pausa per riempire borracce e bottiglie e, ovviamente, per concederci un’accurata abluzione mattutina. La limpida e gelida acqua che zampilla dalla fonte si distende fino a raggiungere la sottostante vasca in legno, scavata sicuramente in un vecchio tronco di abete. I MacGyver della situazione si inventano un sistema per convogliare l’esiguo rigoletto dal punto di uscita verso le bottiglie poste poco sotto la vasca; tutto questo per evitare di contaminare l’acqua pulita con quella stagnate dell’abbeveratoio. Muniti di un paio di larghe e voluminose foglie di non so quale pianta, creiamo un condotto atto al trasferimento. La portata della fonte è decisamente ridotta, ridendo e scherzando, tra una bottiglia e una borraccia, fra un orecchio e un’ascella, trascorriamo ben cinquanta minuti a colmare i contenitori. L’attesa è interminabile, ma inevitabile.

Riprendiamo il cammino, la giornata è ancora lunga e non abbiamo ancora percorso manco metà del tragitto odierno. La via fluisce delicatamente costeggiando il promontorio vertiginoso sulla Valsugana, solca radure e radi boschetti in cui abeti e larici lasciano spazio a rododendri e pini mughi.
Superata Porta Incudine, riscendiamo lungo il pendio fino a raggiungere Pra Molina. In prossimità del declivio, a qualche metro di distanza dalla traccia, noto un minuscolo fiorellino violaceo immerso nel manto smeraraldino di uno spiazzo erboso. Incuriosito, mi avvicino finché scopro, con immensa gioia, che si tratta di un’orchidea spontanea; la mia prima orchidea!!! Purtroppo il tempo è tiranno e, dopo qualche decina di foto, sono costretto a riprendere il cammino; il resto del gruppo è lontano e la mia sosta si è protratta fin troppo.

Presso Pra Molina mi aggrego alla truppa e l’avanzata riprende la marcia. Pra Molina, un vasto pianoro erboso abbondantemente punteggiato dalle pallottoline gialle dei ranuncoli, è uno squarcio nella fitta abetaia che copre i verdi pianori dell’estremità settentrionale dell’Altopiano di Asiago.

Lasciato il verdeggiante pianoro si prosegue ancora verso ovest e si raggiunge Pra della Porta, uno spiazzo erboso posto ai piedi di Cima della Caldiera. Una croce in legno segnala la presenza di un piccolo cimitero di guerra, alcune lapidi ricordano gli alpini caduti nel corso della battaglia del Monte Ortigara.
Poco oltre si incrocia la vecchia mulattiera che risale le pendici orientali di Cima della Caldiera fino a raggiungere la sua sommità a quota 2.124 m. Nella parte terminale di questo tratto si incontrano alcuni cunicoli che vennero utilizzati dagli alpini per sorvegliare la Valsugana. In particolare vi è un tunnel che si ramifica in diverse branche, queste terminano in appostamenti che dominano l’ampia vallata.

Dall’ingresso dell’osservatorio, con un ultimo strappo, si può raggiungere l’Osservatorio Torino, donde si può godere di una vista a 360 gradi che spazia sulla Valsugana e sulla corona di monti che la circondano. Vi è un notevole groviglio di trincee che si propaga dalla cima fino al basamento di Monte Ortigara; innumerevoli solchi che fendono i pendii scoscesi del monte come arse rughe della pelle dimorata dagli anni.
Una breve sosta anticipa la ripartenza, qualche fettina di slinzega per zittire i brontolii del ventre, un ultimo sguardo verso l’ormai sfocato labirinto e un profondo sospiro prima di abbandonare la cima.
L’itinerario prosegue verso Ovest, la discesa è piuttosto irta e, senza particolari difficoltà, percorriamo il pendio roccioso fino a raggiungere una sella piuttosto ampia fra Cima Caldiera e Monte Ortigara. Innumerevoli solchi scavati sulla ruvida corteccia dei monti si diramano in ogni dove perdendosi al limitare dello sguardo. Seguendo la traccia si passa per Pozzo della Scala, si attraversa un fitto nugolo di pini mughi che cercano in tutti i modi di conquistare la strada maestra, infine, oltrepassata una selva, si giunge a un pianoro erboso; qui si può ascendere al Monte Ortigara. A metà costone i resti delle trincee austriache segnalano che, da lì a poco, con una breve deviazione verso Nord-Est, è possibile visitare i resti delle imponenti opere architettoniche realizzate dagli austriaci a difesa dello sperone roccioso.

Riprendendo il cammino lungo la cresta, con l’aiuto di alcune corde fisse si oltrepassa l’ultimo strappo, si attraversa l’angusta e suggestiva caverna dedicata al Colonnello Biancardi, comandante della Brigata Regina, e infine si giunge, dopo un breve strattone, alla postazione militare ove è posto il cippo austriaco (quota 2.093 m).

Il pranzo ci attende in una trincea posta ai piedi della stele. Panini imbottiti con affettati e formaggio di Asiago guarniscono lo strepitoso panorama che si estende da Monte Ortigara. A Nord la Valsugana, a Est le marginali propaggini dell’Altopiano dei Sette Comuni, a Sud i brulli pianori rocciosi scavati dalla furia della guerra e a Ovest Cima Dodici.

Le previsioni meteo hanno sempre azzeccato i loro pronostici, la mattinata è stata adornata da cielo sereno con qualche sparuta nuvoletta biancastra che gironzolava alla ricerca delle compagne di gioco, mentre per il pomeriggio è tecnicamente previsto un consistente ammassamento temporalesco§; anche se al momento sembrerebbe tutto tranquillo.
Riposati, sazi e appagati dalla succulenta pausa, impugniamo la via verso il cippo italiano dal quale poi seguiremo il Sentiero CAI 206. Lo scenario presenta una visuale sulle oramai antiche tracce del fronte italo-austriaco, assomiglia alla superficie lunare rivestita da crateri, incavi e cavità in cui le pietre la fanno da padrone, mentre rade screziature giallo-violacee si infiltrano, come incursori, oltre la prima linea nemica.


Oltrepassata l’aspra crosta rocciosa si costeggia a Sud di Cima Dieci, si scansa la profonda e aguzza Val Porcile e in seguito si corre lungo l’appoggio di Cima Undici.

A quel punto l’arrivo è nelle vicinanze: ascesa su un ultimo crinale fino a una selletta spazzata dal forte vento, da una parte Cima Undici e dall’altra Dosso del Cuvolin, a terminare l’arrivo è ai nostri piedi.
Ore 16:00, Bivacco Buse delle Dodese.
Dalla Val di sella, ramificazione meridionale della Valsugana, salgono arcigni nuvoloni dalle tinte grigio-nerastre. Sono pronti a soverchiare l’imponente predominio di Cima Dodici. Raggiunta la cima rimangono a vedetta sulle vallate sottostanti, poi arriva il forte vento che le scalza scaraventandole oltre per sostituirle con nuove nuvolaglie; è un andirivieni continuo.
Bivacco Buse delle Dodese è posto in un anfiteatro montuoso che sovrasta la Val di Sella, alle sue spalle fanno capolino Cima di Sette Selle, Monte Val Plana, Monte Gronlàit e Monte Fravèrt; tutt’attorno si estende un soffice manto erboso dalle disparate screziature in cui il giallo prevarica sulle restanti tinte.
Nel gruppo si creano due fazioni, la prima, composta da tre elementi, ha intenzione di raggiungere Cima Dodici (2.336 m), mentre la seconda, da due membri, preferisce godersi l’ultimo caldo Sole della giornata. Salutati gli avventurieri scalatori del Ferozzo, io e l’altro mio compagno di relax ci distendiamo gioiosamente sulla fresca erba, chi a prendere il Sole, chi a fotografare l’universo floreale che si estende a vista d’occhio. Gli altri, in men che non si dica, giungono sulla vetta di Cima Dodici, detta Ferozzo, in meno di 50 minuti. Il cecchino li scruta dal basso, mentre l’allegra combriccola scorrazza sulla cresta della cima, qualcuno si sbraccia per farsi notare. Nell’attesa che la truppa torni al campo base, il pacifico drappello si adopera nel sistemare le attrezzature e a scattare le ultime fotografie della splendida giornata. La serata è all’insegna di zuppa liofilizzata di funghi vari ed eventuali, molto profumata e vaporosamente condita, wuster spadellati con un alito di olio abbinati con polenta pre-cotta anch’essa scottata in padella. Una cena sostanziosa, ma di certo poco godereccia.
Sfatti come purè di patate, ci adagiamo pesantemente sui materassi del bivacco salutando con gratitudine il dì appena trascorso.